La figura del Ferroviere

Segue l’articolo che ho pubblicato nell’aprile 2024 sulla rivista “Cub Rail” n° 80.

Con il termine “ferroviere”, sin dall’inizio della storia delle strade ferrate, si accomunano una serie di figure professionali diversificate tra loro, dal manovale all’impiegato.

Gli addetti alla circolazione dei treni furono tra i primi dipendenti civili a vestire l’uniforme e a possedere orologi da tasca, rigorosamente piombati. Con i colleghi condividevano gergo, regole, meccanismi, tempo e luoghi.  Il servizio in Ferrovia era il più complesso dell’epoca per orari e mansioni.  Allora il telefono non era diffuso, così come i computer, l’elettronica e la digitalizzazione.

Oltre 100 qualifiche professionali erano ripartite tra gli impiegati amministrativi delle direzioni e degli uffici, i tecnici addetti alla manutenzione dei binari, materiale rotabile, impianti elettrici e gli addetti alla circolazione dei treni: macchinisti e fuochisti, personale viaggiante (capi treno, conduttori, frenatori) e personale di stazione. I turni di lavoro erano di molte ore e in condizioni spesso disagiate. Per queste ragioni il movimento sindacale italiano ebbe nei ferrovieri una delle categorie più combattive e unite che, per prima, si organizzò in una federazione nazionale, con una presenza capillare estesa su tutto il territorio italiano.

La prima organizzazione di ferrovieri fu la Filantropica che vide luce a Torino nel 1862, ma solo dopo i grandi scioperi tra il 1886 ed il 1888 nacquero le prime associazioni propriamente sindacali. Dopo la nazionalizzazione delle ferrovie, nel 1907 si raggiunse la fusione di tutti i lavoratori in un’unica organizzazione, per creare un fronte unico: nacque così il Sindacato Ferrovieri Italiani, lo SFI.

Questo sindacato divenne un modello per le altre organizzazioni di lavoratori, grazie alle caratteristiche del lavoro in ferrovia: responsabilità, attaccamento al mestiere e spirito di corpo.

Anche oggi, in questi nostri tempi incerti, caratterizzati da tecnologie spersonalizzanti, è ancora l’uomo (il ferroviere) che è solo di fronte alla propria responsabilità, che deve decidere presto e bene e a cui affidiamo con fiducia la nostra vita, investendolo di una competenza assoluta. Distinguere e seguire la marcia dei treni su grafici complessi e prendere rapidamente le decisioni più opportune; seguire con lo sguardo vigile lo scorrere di un convoglio e controllare che tutto sia a posto, o dare l’avviso di un pericolo imminente; agganciare un locomotore senza sbagliare nessuna delle manovre: il ferroviere è solo con la propria identità ma anche certo delle sue competenze, del ruolo a lui assegnato da quella divisa portata con orgoglio.

La stessa divisa che ho indossato con impegno e dedizione durante la mia carriera lavorativa da macchinista ferroviere, iniziata nei primi anni 70 e durata circa 40 anni. La mia scelta lavorativa ha radici molto lontane nel tempo: sono nato e cresciuto in un casello ferroviario, il 350, situato tra le stazioni di Sampieri e Pozzallo (RG) e mio papà, così come altri membri della mia famiglia, sono stati ferrovieri, con varie mansioni.

Ricordo ancora alcuni momenti della mia infanzia e fanciullezza; a ridosso della strada ferrata potevo distinguere l’odore di catrame delle traverse, respirare il vapore “dell’amico treno” che scandiva le ore della giornata e fare amicizia con il guardalinee che, con l’immensa chiave fissa e l’ombrellone verde del mandriano a tracolla, scrutava ogni traversa dell’armamento.

Quando il treno passava davanti al mio casello, io ammiravo e salutavo sempre i macchinisti che stavano affacciati dalla locomotiva e esclamavo sempre: “Anch’io da grande guiderò un treno!”.

Il sogno di quel bambino si è realizzato e la sua passione continua anche dopo il pensionamento: ho attivato un sito internet per appassionati, storici e curiosi (https://macchinista.fiorilla.mi.it/) e faccio parte del gruppo di volontari per il progetto “Scuola Ferrovia” al Museo Nazionale della Scienza e della Tecnologia di Milano.