Il casello era un’imponente costruzione a due piani, composta da cinque locali e da una zona adibita a servizi. Ogni locale era dotato di ampie finestre da cui si godeva un panorama ricco di vegetazione.
La mia residenza, il casello ferroviario numero 350. Vicino alla staccionata la mamma Giuseppina (foto B. Fiorilla)
La camera dei miei genitori, invece, si affacciava su un terrazzo, protetto da una struttura in mattoni rossi forati.
Ingresso del casello. Affacciata al portico la mamma Giuseppina (foto B. Fiorilla)
Gli arredi interni erano molto semplici ed essenziali e i locali erano illuminati con il lume a petrolio perché l’energia elettrica non era ancora stata diffusa nelle campagne.
Lume a petrolio (foto B. Fiorilla, anni 70)
Accanto all’ingresso, sotto il portico, c’era un piccolo locale dove era situato il forno a legna e il focolare.
Il forno del casello (foto S. Fiorilla, anno 2006)
Nel cortile antistante troneggiavano il pozzo, il lavatoio e il pollaio. Il pozzo era costruito con mattoni rossi a vista e il bordo superiore era rifinito con pietra viva e chiuso con un ampio coperchio in ferro dotato di lucchetto. Il doppio lavatoio in pietra circondato da un canneto che si estendeva fino al pollaio veniva utilizzato prevalentemente nel periodo estivo per fare il bucato che poi veniva steso ad asciugare al sole.
Il pozzo dell’acqua (foto B. Fiorilla, primi anni 70)
Il casello era un luogo silenzioso soprattutto in alcune ore della giornata ed era come se avesse qualcosa di fiabesco; a tratti si udivano i vari suoni della natura, quando c’era molto silenzio si sentiva in lontananza anche il suono del mare.
Il casello tra gli alberi; in lontananza il mare (foto S. Fiorilla, 2018)
Ma quello che li sovrastava tutti e scandiva le ore della giornata era quello del treno. Da piccolo mi addormentavo con la ninnananna della mamma e con la musica della locomotiva a vapore e mi svegliavo con il fischio insistente della littorina che trasportava di buon’ora gli studenti e i lavoratori. L’avvicinarsi del treno veniva avvertito da un progressivo tremore del terreno e del pavimento delle stanze. In quel momento correvo alla finestra della mia stanza e, in ginocchio sulla sedia, guardavo passare i treni, che col tempo avevo imparato a riconoscere dal “suono-rumore”. I mezzi che passavano più frequentemente erano: la locomotiva a vapore 740, la ALn772, la ALn668 e la DE343.
L’unico treno che si fermava davanti al casello, che per l’occasione diventava “stazione d’estate”, era il treno dell’acqua che periodicamente riforniva il pozzo. L’arrivo di questo treno e la sua permanenza diventava la festa del rione; finché si raggiungeva il livello dell’acqua nel pozzo, gli adulti parlavano tra di loro, e noi bambini eravamo attratti dalla maestosità della locomotiva; guardavamo con occhi meravigliati ogni piccolo componente… con un sentimento di paura ma nello stesso tempo di tranquillità perché “l’animale feroce” era momentaneamente addormentato e sembrava russasse. Io mi staccavo dal gruppo e mi avvicinavo ai ferrovieri anche se un po’ intimidito dalla loro austerità, per osservare ogni particolare delle loro divise e per porre loro qualche domanda per soddisfare le mie curiosità. Quando mi rivolgevano una piccola attenzione io gli rispondevo con decisione: “Anch’io da grande diventerò un macchinista!”.
Locomotiva a vapore 740-244 (foto tratta da”Rotaie Vissute”, Minardo Emanuele)
A circa 180 metri dal casello, vi era un passaggio a livello e una garitta. Il passaggio a livello veniva manovrato a distanza, con arganello, dallo zio materno Angelo Migliore, classe 1897, che abitava e prestava servizio presso il casello 349, che sorgeva a un chilometro circa dal mio. La garitta era una piccola struttura che serviva al personale per presenziare il passaggio a livello in caso di malfunzionamenti e per riporre attrezzi. Ormai semidistrutta dal tempo, serviva per i nostri giochi, ma anche per le nostre piccole scommesse sull’abilità di ciascuno di riconoscere il tipo di locomotiva in testa ad ogni treno.
Passaggio a livello; sullo sfondo a destra si nota la garitta (foto B. Fiorilla)
In quegli anni, 50-60, da questo passaggio a livello passavano principalmente contadini con il carretto o il mulo. L’unica macchina che ricordo, era quella del cavaliere Colombo, una Fiat 500 Topolino di colore blu.
Carretto (foto A. Migliore, anno 1975)
Anche per frequentare la scuola elementare negli anni cinquanta, non mi sono allontanato molto da casa. Dovevo percorrere soltanto un breve sentiero tra i campi per raggiungere la piccola costruzione rurale in contrada “Fondo Marta” che ospitava due classi: la prima sezione era frequentata da alunni di prima e seconda elementare; la seconda sezione da quelli di terza, quarta e quinta. La classe era formata da maschi e femmine ed era composta da circa 10 bambini.
La mia scuola elementare, anno 2006 (foto S. Fiorilla)
Foto di classe alla Scuola di Fondo Marta con le due sorelle Antonietta e Maria (in alto), anni 50
Le scuole medie, invece, le ho frequentate a Pozzallo all’inizio degli anni 60, a sei chilometri di distanza dal casello. In assenza di mezzi pubblici percorrevo la tratta in bicicletta e alcune volte anche a piedi. Dopo la scuola media negli anni 60/70, ho frequentato a Modica l’Istituto Tecnico per Geometri “Archimede”, che inizialmente raggiungevo con un autobus della allora ditta “Di Raimondo” e verso la fine degli anni 60 con un autobus di linea dell’azienda siciliana trasporti Ast, istituito con lo scopo di trasportare gli studenti dalle borgate al centro della città.